La corsa può essere considerata un’azione molto semplice, data la sua naturalezza, e allo stesso tempo molto complicata data la complessità della sua dinamica.
Tanti sono i fattori che possono influire sulla dinamica della corsa: basti pensare alla struttura anatomica, alla corporatura, alle proporzioni corporee, alla forza e alla flessibilità di ciascuno per capire che ogni individuo corre in maniera diversa da tutti gli altri. Esistono, comunque, delle basi meccaniche comuni a tutti. La corsa comporta ovviamente un’azione combinata di tutto il corpo, ma per praticità sarà più semplice analizzarla parte per parte.
L’azione delle gambe
Nella dinamica della corsa dobbiamo innanzi tutto distinguere due fasi: una fase di contatto con il terreno e una fase di volo.
La fase di contatto con il terreno può essere a sua volta suddivisa in fase di appoggio e fase di spinta. Durante l’appoggio il piede prende contatto con il suolo inizialmente con il suo bordo esterno; in seguito sostiene il peso del corpo sulla parte anteriore della pianta (nelle corse veloci), o sulla pianta quasi intera, nelle corse a velocità moderata. Al momento dell’impatto a terra si genera una forza di grandissima importanza, cioè la forza di reazione. Questa, insieme al peso del corpo stesso, causa il cosiddetto caricamento: l’arto inferiore, quasi completamente disteso al momento dell’appoggio, cede piegandosi leggermente. Il caricamento è controllato, e mantenuto entro brevi limiti ragionevoli, da una contrazione del muscolo anteriore della coscia, il quadricipite.
Durante l’impatto sosteniamo mediamente un peso pari a circa due o tre volte il nostro peso corporeo.
Nella fase di spinta è la contrazione dei muscoli del polpaccio, insieme a quelli del piede, che permette prima al tallone e poi all’intero piede di staccarsi dal terreno.
2) Nella fase di volo si ha invece la contrazione dei muscoli della gamba, della coscia e dei glutei, per far si che l’arto sia portato nell’assetto giusto per effettuare una nuova fase di appoggio.
Una volta che il piede si è staccato da terra, infatti, la gamba si piega, il tallone sale in direzione del sedere e il ginocchio sale a sua volta verso l’alto. Più veloce sarà la corsa e più in alto salirà la coscia. Infine la gamba viene ridistesa, pronta per essere di nuovo appoggiata a terra.
L’azione delle braccia e del busto
Il movimento delle braccia è strettamente coordinato con quello delle gambe. Esse dovrebbero essere tenute naturalmente flesse (con un angolo di circa 90°), senza mai essere distese, oscillando con un movimento non troppo ampio. Avanza sempre il braccio opposto alla gamba libera. Questo porta il busto a una rotazione con la spalla dello stesso lato, che a sua volta si sposta leggermente indietro. Il busto deve inoltre sopportare e assorbire quell’eccesso di carico che sosteniamo durante la fase di appoggio a terra del piede. Ovviamente, sia il movimento delle braccia che quello del tronco sarà più lento nelle corse più lente, e più esasperato (per ricavarne un aiuto maggiore) man mano che la velocità della corsa aumenta.
La respirazione
Possiamo definire la respirazione come quell’azione vitale che ci serve per assumere l’ossigeno, necessario per il funzionamento del nostro organismo, e per far fuoriuscire l’anidride carbonica, prodotta come sostanza di scarto dall’organismo stesso. E una funzione autonoma e continua, anche se in parte può essere modificata volontariamente nella sua frequenza e nella sua ampiezza. La respirazione è caratterizzata da due fasi, una inspiratoria, in cui l’aria entra nei polmoni; e una espiratoria, in cui l’aria viene fatta uscire. Nella fase inspiratoria la gabbia toracica, struttura semirigida, si espande grazie all’azione di alcuni muscoli, creando un effetto di risucchio tramite cui l’aria, ricca di ossigeno, entra nei polmoni.
Nella fase espiratoria normale, invece, è la stessa forza di gravità, e il rilassamento dei muscoli inspiratori, che fanno sì che i polmoni si “sgonfino”, espellendo così l’aria in essi contenuti, ricca adesso di anidride carbonica. Nel caso di una espirazione forzata, invece, tutto ciò non sarà sufficiente, ma sarà necessario anche l’intervento dei muscoli espiratori.
Abbiamo visto, quindi, che esistono dei muscoli inspiratori e dei muscoli espiratori. Guardiamo più in dettaglio quali sono:
- Muscoli inspiratori: nei muscoli inspiratori dobbiamo ulteriormente distinguere tra muscoli inspiratori principali e muscoli inspiratori accessori. I muscoli inspiratori principali sono quelli che intervengono necessariamente a ogni atto respiratorio. Essi sono il diaframma e i muscoli intercostali. Nel caso si abbia una inspirazione forzata, quindi più ampia di quello che si verifica durante il “respiro tranquillo”, devono intervenire anche i muscoli inspiratori accessori. Questi sono dei muscoli che hanno una funzione ben precisa e diversa da quella inspiratoria, ma che all’occorrenza possono coadiuvare l’azione dei muscoli inspiratori principali. Fanno parte di questo gruppo i pettorali (grande e piccolo), lo sternocleidomastoideo (muscolo del collo), il dentato anteriore e altri ancora.
- Muscoli espiratori: I muscoli espiratori per eccellenza sono invece gli addominali, che intervengono nelle espirazioni forzate (per esempio nel soffiare o nel tossire), accelerando il processo di sgonfiamento dei polmoni. Da un punto di vista meccanico, esistono due tipi di respirazione: la respirazione addominale e la respirazione toracica. Ovviamente in entrambi i casi sono sempre i polmoni al centro della respirazione, ma è il movimento del diaframma che cambia. Mentre nella respirazione addominale il diaframma si abbassa verso i visceri, nella respirazione toracica è lo stesso diaframma che alza le coste. La meccanica ventilatoria varia in maniera abbastanza evidente a seconda dell’età e del sesso della persona.
Nella donna la respirazione è soprattutto di tipo toracico (viene cioè adoperata la parte superiore della struttura respiratoria). Questa caratteristica viene ulteriormente accentuata durante la gravidanza, periodo in cui non c’è la possibilità di far lavorare in modo valido il diaframma per la presenza del feto. Nel bambino la respirazione è di tipo addominale. Nell’uomo è di tipo misto, e cioè toracica e addominale. Nelle persone anziane le condizioni respiratorie variano rispetto a quanto detto, a causa sia della diminuzione del tono muscolare che della maggiore rigidità del rachide e delle altre strutture ossee e articolari normalmente coinvolte nella respirazione. Le coste superiori, infatti, riducono in parte la loro mobilità, per cui il lobo superiore del polmone non viene più ventilato come prima, e la respirazione può, così, diventare addirittura addominale.
Gli esercizi di respirazione hanno lo scopo di farci sfruttare al massimo le nostre capacità inspiratorie ed espiratorie, facendoci prendere coscienza dei due possibili tipi di respirazione (addominale e toracica) e dandoci la possibilità di scegliere noi stessi quale tipo di respirazione praticare.
- Mettetevi distesi a terra, con le gambe piegate, i piedi vicini al sedere e le braccia rilassate lungo il corpo.
- Da questa posizione appoggiate una mano sul torace e l’altra sull’addome.
- Inspirare con il naso cercando di far salire solamente il torace, controllando che ciò avvenga tramite la mano appoggiata sul petto.
- Soffiare fuori l’aria con la bocca lentamente e completamente, per poi tornare alla condizione di partenza controllando che la mano si riabbassi.
- Sempre mantenendo la stessa posizione inspirare con il naso, cercando di far salire solamente l’addome, e controllando che ciò avvenga tramite la mano appoggiata sulla pancia.
- Soffiare fuori l’aria con la bocca lentamente e completamente, per poi tornare alla condizione di partenza controllando che la mano si riabbassi.
L’abbigliamento e l’ambiente
Adesso che la corsa non ha più segreti per noi, andiamo a prendere in esame tutto ciò che può esserci utile durante i nostri allenamenti. Ad esempio, riguardo l’abbigliamento ideale per correre, una caratteristica fondamentale è quella della comodità: nei nostri movimenti non dobbiamo sentirci costretti e impacciati dagli indumenti. Sul mercato esistono numerosi articoli di vestiario, quindi non ci resta che trovare quello che meglio si adatta alle nostre caratteristiche.
Cerchiamo di evitare il più possibile i tessuti sintetici, perché non permettono un’adeguata traspirazione. Quando corriamo, infatti, produciamo calore, e di conseguenza sudiamo: è questo uno dei meccanismi con cui l’organismo riesce a mantenere la temperatura corporea costante. A noi la scelta, quindi, tra canottiera o maglietta, tra pantaloni corti (aderenti o no) o pantaloni lunghi. Ovviamente dobbiamo regolare la pesantezza del nostro abbigliamento a seconda delle condizioni climatiche in cui corriamo: sicuramente non possiamo correre in piena estate vestiti in maniera pesante, o solo in canottiera e pantaloncini corti in pieno inverno.
Anche l’ambiente in cui corriamo condiziona necessariamente il nostro vestiario; sicuramente la situazione ideale sarebbe correre all’aria aperta (ma non in mezzo al traffico), su una superficie relativamente morbida (un prato o uno sterrato), che non sia sconnessa, e in un clima né troppo caldo né troppo freddo.
In queste condizioni ci basterebbe una maglietta e un paio di pantaloncini, un paio di scarpe senza grosse pretese, una maglia di ricambio e un asciugamano per quando abbiamo concluso il nostro allenamento. La maggior parte delle volte, però, dobbiamo rinunciare a una o più di queste condizioni ambientali ideali. Molto spesso, infatti, siamo costretti a correre in condizioni climatiche non proprio perfette. Tutti noi conduciamo una vita molto impegnata e scandita da orari ben precisi. Generalmente il momento riservato alla nostra attività fisica è ritagliato tra i mille impegni della giornata (lavoro, studio, famiglia e altro ancora).
Non possiamo quindi farci condizionare dal clima più di tanto, altrimenti andrebbe a finire che salteremmo almeno la metà delle nostre sedute, compromettendo la buona riuscita di tutto il nostro programma di allenamento. Non importa se piove, se c’è il sole, se è nuvoloso o c’è la nebbia. L’importante è adeguarsi alle varie situazioni semplicemente prendendo i dovuti accorgimenti: ci copriamo un po’ di più se fa freddo, ci muniamo di un bel cappello e di una buona scorta di acqua se fa molto caldo, ci procuriamo un giubbotto impermeabile se tira molto vento o è una giornata particolarmente umida e nebbiosa.
Non usiamo i classici giubbottini impermeabili, perché così non riusciremo a far traspirare affatto il sudore mentre corriamo: il calore non si disperde, noi sudiamo anche più del dovuto bagnando di conseguenza abbondantemente la maglia, cosicché, appena ci fermiamo, ci sentiamo ghiacciare irreparabilmente, con il rischio di prendersi un bel raffreddore. Finché corriamo e produciamo calore non ci può succedere niente. Il momento di coprirsi, invece, è quando ci fermiamo. L’ideale sarebbe, a questo punto, togliersi al più presto i vestiti bagnati di sudore e sostituirli con altri asciutti. Se fa freddo o tira vento mettiamo addosso anche il giubbotto che è un materiale che isola esternamente dalla pioggia e dal vento, ma che contemporaneamente permette la traspirazione dell’umidità prodotta dal nostro corpo. Ciò consente al sudore di evaporare, evitando di rimanere sulla pelle, e quindi di bagnare i nostri indumenti.
Anche le scarpe sono un’articolo che deve variare, oltre che per le nostre caratteristiche personali, anche in funzione dell’ambiente in cui corriamo.
A seconda che si abbia la necessità di correre sullo sterrato, in un parco o sull’asfalto, dovremo scegliere scarpe con battistrada differenti. Anche la scelta del sistema di ammortizzamento, caratteristica fondamentale per le scarpe da running, dovrà essere particolarmente curata in funzione della superficie su cui corriamo: se per esempio siamo costretti a correre sull’asfalto delle vie cittadine, dovremo acquistare un paio di scarpe più ammortizzate, per salvaguardare la nostra schiena e per limitare tutta quella serie di problematiche che possono insorgere dietro al continuo ripetersi di piccoli traumi.
Un altro articolo che è bene utilizzare sempre, estate e inverno, sono i calzini, corti o lunghi a vostro piacere, ma rigorosamente di spugna di cotone. Oltre ad assorbire il sudore che il piede inevitabilmente produce (scongiurando così il verificarsi di spiacevoli arrossamenti), evitano che il piede stesso sfreghi a ogni passo con i tessuti della scarpa, allontanando il pericolo delle vesciche. Esiste un solo posto dove ci possiamo liberare sia delle scarpe che dei calzini: è la spiaggia.
Tutti noi abbiamo sicuramente provato un grande senso di libertà camminando a piedi scalzi sul bagnasciuga. Il piede, finalmente, non è più “costretto” nelle scarpe, e si può muovere liberamente, attivando tutti quei muscoli che sono in parte limitati nella loro funzione quando il piede è nella scarpa.
L’importante, comunque, è avere la voglia di correre: questo ci farà minimizzare ogni disagio. Qualsiasi posto va bene per correre. Questa è una delle nostre più grandi fortune; non abbiamo bisogno di una struttura apposita come un campo da calcio, da basket o da tennis, né di un’attrezzatura precisa come un pallone, un canestro o una racchetta. Siamo noi stessi a crearci la situazione ideale per riuscire a divertirci correndo.
Le scarpe
Il piede deve essere protetto dalla scarpa, e d’altra parte il mercato delle calzature sportive è sempre in continua evoluzione. Non esiste marca, infatti, che non produca scarpe specifiche per ogni esigenza sportiva: fitness, walking, jogging, aerobica, running e altre ancora, sono tutte indicazioni che troviamo sotto a ciascun modello negli espositori dei vari negozi. Le scarpe che a noi interessano sono quelle da running. La scarpa è il mezzo con cui trasmettiamo la nostra spinta al terreno e con cui entriamo in contatto con il terreno stesso.
Dovrà, quindi, avere sia caratteristiche di ammortizzamento, sia caratteristiche di aderenza. Le parti che danno alla scarpa queste caratteristiche particolari sono la tomaia, l’intersuola e il battistrada. Vediamole più in dettaglio.
- tomaia
- conchiglia
- intersuola
- battistrada
- stabilizzatore
La tomaia è la parte della scarpa che avvolge il piede. Costruita generalmente in nylon, ha uno strato esterno a rete, per permettere al calore e all’umidità prodotta dal piede di uscire, e da uno strato interno più morbido per un maggior comfort. I punti di maggior usura sono normalmente rinforzati con della pelle sintetica. La parte posteriore che avvolge il calcagno, chiamata conchiglia, contribuisce alla stabilità di tutta la scarpa. Sempre a questo scopo, in molte scarpe si possono trovare gli stabilizzatori posteriori: realizzati in materiale plastico, o con lo stesso materiale dell’intersuola, hanno una forma a ferro di cavallo.
L’intersuola è lo strato realizzato in materiale elastico, posto tra la tomaia e il battistrada, che fornisce alla scarpa l’importante azione ammortizzante. È generalmente realizzata con un materiale espanso (EVA: Etil Venil Acetato), o in poliuretano, quest’ultimo meno ammortizzante ma più resistente. In corrispondenza del calcagno, e in alcuni modelli anche nella parte anteriore dell’intersuola, possono essere introdotte delle bolle di gas pressurizzato o di silicone gelatinoso, per migliorare la capacità di assorbimento e di conseguenza le caratteristiche protettive della scarpa.
Il battistrada è la struttura che ci deve offrire aderenza, e che deve creare più attrito possibile per rendere efficace l’azione della nostra spinta. Il battistrada è particolarmente importante in una scarpa, dal momento che ci deve garantire l’aderenza. Generalmente incollato all’intersuola, è realizzato in gomma fusa, arricchita di carbonio per aumentarne la resistenza all’usura. Alcuni modelli presentano delle mescole differenti tra la parte del tallone (più rigide e resistenti) e quella dell’avampiede (più flessibili e leggere).
Il disegno del battistrada varia da scarpa a scarpa: liscio o quasi per correre su superfici come l’astalto; con sporgenze non troppo grosse per un uso misto; con tasselli grossi e più radi per correre nel fuoristrada. Inoltre alcune scarpe presentano dei tagli nella parte anteriore del battistrada, per aumentarne ulteriormente la flessibilità. Nella nostra carriera di atleti dovremmo prendere la buona abitudine di controllare periodicamente le condizioni delle nostre scarpe.
Una scarpa troppo usurata non avra certamente più le caratteristiche che abbiamo visto in precedenza, fondamentali per evitare di farci male. E’ importante, inoltre, controllare sempre che la scarpa sia consumata in maniera omogenea: un’usura anomala, specialmente a livello del battistrada, può indicarci un difetto sia nella fase di appoggio del piede che in quella di spinta. Talvolta ciò può dipendere semplicemente da una scarpa non adatta alle nostre caratteristiche, ma altre volte può essere un vero e proprio campanello d’allarme.